La vacca di razza frisona pezzata nera è la più importante al mondo per l’elevata produzione di latte e per l’estensione della sua diffusione. Originaria dei celebri polders olandesi, ha trovato in molti altri Paesi favorevoli condizioni ambientali tanto da affermarsi gradualmente in vaste aree, fino a costituire alcuni ceppi caratteristici.
Ma a fianco della frisona che è la razza cosmopolita per eccellenza, e accanto alla bruna e alla pezzata rossa del simmental – cosmopolite pure loro – ne esistono innumerevoli altre autoctone e locali. Producono meno latte, quasi sempre, ma quasi sempre sono più adatte alle condizioni di uno specifico territorio.
Dopo “a ogni pecora il suo formaggio” con “a ogni vacca il suo formaggio” vi presentiamo alcune razze bovine autoctone italiane. E i magnifici prodotti che derivano dal loro latte.
A ogni vacca il suo formaggio
Trentino Alto Adige – La vacca grigio alpina e i formaggi di malga


Si sale in montagna alla scoperta della ricca offerta dei formaggi di malga trentini. Alcuni più magri perché si privilegia la lavorazione del burro, altri a crosta lavata, perché durante la stagionatura vengono inumiditi con acqua salata. Ad accomunare questi caci è il latte della vacca grigio alpina, senz’altro una delle più vecchie abitanti delle Alpi.
Allevata per secoli dalle popolazioni locali soprattutto in contesti marginali ed estremi come quelli dei masi di alta quota, è in grado di adattarsi perfettamente alle dure condizioni ambientali di queste regioni montane. La popolazione, concentrata soprattutto in provincia di Bolzano e di Trento con qualche presenza in Veneto e Friuli Venezia Giulia, ha mantenuto intatte quelle specificità che ne fanno la razza ideale per l’economia rurale di montagna. Viene oggi allevata sia per la produzione di latte, particolarmente adatto alla caseificazione ma anche al consumo diretto fresco, sia per quella della carne, di ottima qualità. In particolare questa razza possiede uno dei migliori rapporti quali-quantitativi tra i latti bovini, fornendo quindi una maggiore percentuale di materia utile alla produzione di formaggio.
Veneto – La razza bovina burlina e il morlacco del Grappa


Murlak, murlaco, burlacco o morlacco erano i nomi con i quali storicamente si indicava un formaggio di latte vaccino prodotto nell’area dell’altopiano del Grappa. Pastori e boscaioli, insediatisi sul Grappa nel periodo della Repubblica di Venezia, usavano fare un formaggio di latte vaccino tenero, magro, a pasta cruda.
Un tempo il latte era scremato totalmente e il grasso era usato per fare il burro venduto in pianura: con quello avanzato, invece, si produceva un formaggio “povero”, base dell’alimentazione dei malgari. Il morlacco è un formaggio tenero ma non molle, netto al taglio, con occhiature gocciolanti, dal sapore molto salato. Le sensazioni saline con la maturazione si attenuano e aumentano i sapori del pascolo e della nocciola. Il latte in passato era quello delle vacche burline, unica razza bovina autoctona del Veneto oggi a serio rischio di estinzione. Piccoline, dal manto bianco e nero, rustiche e adatte ai pascoli del Grappa, producevano un latte straordinario, ma in quantità limitata. Oggi alcuni allevatori la stanno recuperando con successo e Slow Food ha fatto un Presidio sul morlacco con l’obiettivo di aumentare il tempo di stagionatura e proporre così sul mercato un formaggio di grande interesse.
Piemonte – la razza bovina pezzata rossa d’Oropa e il burro a latte crudo dell’Alto Elvo


La produzione del burro è molto radicata nella cultura locale della Valle Elvo. Gli alpeggi in alta quota spesso sono edifici che risalgono alla fine del Seicento e alla prima metà del Settecento. Sono collocati vicino alle sorgenti e fungevano da casa, stalla e caseificio per i mesi estivi.
Annessa al nucleo principale c’era sempre una piccola casetta in pietra, detta fraidél, all’interno della quale si incanalava l’acqua della sorgente che aveva una temperatura di circa 6 gradi ed era usata per il raffreddamento del latte e l’affioramento della panna. La razza protagonista di questo burro è soprattutto la pezzata rossa d’Oropa, stretta parente della Valdostana. Diffusa principalmente nella Valle Elvo, ha origine dal bestiame pezzato del Nord Europa introdotto in Italia nel V secolo. È una razza a duplice attitudine, con prevalenza per il latte. Si adatta bene alle difficili condizioni ambientali del pascolo montano e svolge una importante azione di tutela ambientale e del paesaggio. Recuperare il burro a latte crudo tradizionale fatto con il suo latte è uno degli obiettivi del Presidio Slow Food.
Emilia Romagna – la razza bovina bianca modenese e il parmigiano Reggiano; la razza bovina rossa reggiana e il Parmigiano delle vacche rosse


Il Parmigiano Reggiano è sicuramente il formaggio italiano più conosciuto e imitato al mondo. Un formaggio naturale al 100%, con ottime caratteristiche nutrizionali e di straordinaria bontà. Sino al secondo dopoguerra le regine incontrastate del Parmigiano Reggiano erano due razze autoctone: la bianca modenese e la rossa reggiana che dagli anni Cinquanta sono state sostituite dalla razza frisona, famosa per la produttività e con le mammelle perfette per la mungitura meccanica.
In mezzo secolo la bianca modenese è passata da 140.000 capi a 650. Il Presidio e le istituzioni stanno lavorando per recuperarla perché produce un latte particolarmente adatto alla trasformazione in Parmigiano Reggiano e alla caseificazione in genere. Questo è dovuto al rapporto ottimale fra tenore di grasso e proteine, e dove la frazione k delle caseine, che favorisce una coagulazione rapida e più resistente del latte, è presente in quantità elevate. Questa razza, inoltre, ha mantenuto un patrimonio genetico che consente discreti tempi di accrescimento e buona resa al macello. Le sue carni sono sapide e ben marezzate di grasso, adatte a cotture veloci. Purtroppo solo due caseifici producono Parmigiano Reggiano di pura bianca modenese.
La rossa reggiana ha avuto un andamento simile alla cugina modenese: nel 1955 la consistenza della razza ammontava a 130.000 capi, scesi, all’inizio degli anni Ottanta, sotto i mille. Lentamente, inizia la ripresa, grazie all’impegno di alcuni allevatori che credono nel valore della tradizione e nella qualità di questa razza autoctona.
Il latte delle rosse reggiane è più ricco di proteine – caseina in particolare – calcio, fosforo, e possiede attitudini casearie migliori: coagula rapidamente, la cagliata è più consistente ed elastica. Il siero è più limpido e la panna affiora meglio; ma, soprattutto, ha una resa in formaggio superiore a quella della frisona: con il latte delle vacche rosse reggiane si produce un chilo di formaggio in più ogni quintale di latte lavorato. La sua notevole attitudine alla produzione di Parmigiano Reggiano si evidenzia anche al gusto.
Basilicata – la razza bovina podolica e il caciocavallo podolico


Il caciocavallo è il simbolo della tradizione casearia meridionale. Nasce infatti da quella tecnica detta “a pasta filata” che il sud Italia ha messo a punto nei secoli per garantire conservabilità e salubrità ai formaggi di latte vaccino. Si presta a lunghe stagionature.
Il caciocavallo podolico è particolarmente pregiato e si produce con il latte di una razza specifica, la podolica, ancora presente sull’Appennino meridionale e oggi ridotta a circa 25.000 esemplari. Le ragioni principali sono due: produce poco latte (anche se di straordinaria qualità) e, per la sua caratteristica rusticità, deve essere allevata allo stato brado o semibrado, mal prestandosi a uno sfruttamento intensivo. Va assolutamente salvaguardata, perché è un presidio naturale del territorio e perché i formaggi che si ricavano dal suo latte sono eccellenti. Slow Food ha due Presìdi su caciocavalli da latte di razza podolica: nel Gargano e in Basilicata.