Gli effetti del riscaldamento globale incidono sulla qualità dei pascoli e sulla salute degli animali. A Cheese si è discusso di problemi e soluzioni.
La crisi climatica colpisce dappertutto, anche in alta montagna: non sempre con le stesse modalità, ma ovunque con conseguenze dannose. Se, da alcuni anni, le Alpi stanno affrontando estati via via più calde e siccitose che causano l’arretramento e l’assottigliamento dei ghiacciai, in Appennino il climate change si sta manifestando in particolare sotto il profilo del riscaldamento invernale e della riduzione dei fenomeni nevosi. Tra le vittime della crisi climatica, con stagioni caratterizzate da stress idrici e da fenomeni meteorologici estremi e imprevedibili, ci sono anche i pascoli.
Pascoli e variabilità climatica
Andrea Catorci, ecologo, responsabile corso di laurea Ambiente e gestione sostenibile delle risorse naturali all’Università di Camerino, spiega che «i prossimi anni saranno caratterizzati da un’estrema variabilità climatica: il mondo che vivremo e l’allevamento in montagna saranno completamente diversi da quello che conosciamo oggi». Le piante, prosegue Catorci, reagiscono alla siccità mettendo in atto una serie di strategie di adattamento: ad esempio l’ingiallimento, che è una forma di letargo estivo, oppure sviluppando foglie più coriacee e resistenti.
«Non dimentichiamoci che il pascolo è il ristorante degli animali» gli fa eco Paola Scocco, ordinario della scuola di Bioscienze e medicina veterinaria all’Università di Camerino. Settimana dopo settimana, man mano che si avanza nella stagione estiva, «il foraggio secca, la quantità di proteine diminuisce e aumenta la fibra. È come se entrassimo in un ristorante che all’inizio offre un buffet ricchissimo e alla fine ci trovassimo a mangiare solo pane secco». Il fenomeno è inevitabile, ma la siccità lo accentua: «Si anticipa il momento in cui il pascolo è ricco e nutriente e si accorcia il periodo tra il momento in cui la capacità nutrizionale dell’erba è massima e quello in cui i pascoli seccano. A un certo punto, l’erba diventa inutilizzabile, perché fibrosa e dall’elevato tenore di lignina».
Variabilità climatica e benessere animale
Pascolando erbe più fibrose, prosegue Scocco, il tessuto del rumine adibito all’assorbimento della cellulosa subisce un fenomeno di ispessimento: anche in questo caso si tratta di una sorta di meccanismo di difesa, messo in atto dagli animali, che ha come conseguenza la riduzione nella capacità di assorbimento del foraggio. «Significa che i cambiamenti climatici stanno mettendo gli animali in una condizione di difficoltà, perché il pascolo non sarà più in grado di sostenere il benessere e lo stato di forma dell’animale. Dal punto di vista della produttività, può avere conseguenze drammatiche per l’allevatore».
C’è un altro elemento da tenere in considerazione: le piante, oltre che dalla siccità, si difendono anche dagli animali pascolatori, che dal loro punto di vista «sono terribili predatori» aggiunge Catorci. Le strategie utilizzate sono le stesse: questo significa che «se in una situazione climatica via via più arida aumentiamo la pressione zootecnica, gli effetti si sommano, con il risultato di avere comunità di piante più forti e resistenti alle minacce, ma prive di interesse zootecnico. La conseguenza sono pascoli poveri, quindi poco utilizzabili».
Tuteliamo la ricchezza dei pascoli
Non tutto è perduto, a patto che il pascolo – vero e proprio hotspot di biodiversità – venga gestito in modo conservativo, tutelandone la ricchezza. Non esiste una ricetta univoca, valida per tutte le latitudini e adatta a ogni razza animale: una chiave può essere il pascolo turnato fatto utilizzando recinzioni da spostare, un’altra la turnazione delle razze animali per mantenere un equilibrio delle specie vegetali nei pascoli, un’altra ancora l’integrazione alimentare anche in fase di pascolo. L’importante, conclude Scocco, «è che le soluzioni coinvolgano gli allevatori in un processo partecipato, che si configuri come un vero esempio di citizen science».
di Marco Gritti, [email protected]