Tularù: il richiamo sociale generato dal cibo

15 Settembre 2023

La storia scritta da Miguel Acebes e sua moglie Alessandra Maculan affonda le sue radici in un richiamo: “Tularù”. Sei lettere che non hanno nulla a che vedere con la “nostalgia dei tempi passati” ma, al contrario, si impregnano di un’eredità preziosa che consente di ripensare alla nostra responsabilità nei confronti della terra e delle persone attraverso il cibo.

Questa è la storia di un’azienda agricola nel reatino, a Ponzano di Cittaducale. Tularù nasce come associazione culturale – con festa della mietitura e condivisione delle buone pratiche agricole sostenibili – e poi diventa azienda agricola. «L’azienda sorge in quella che era la seconda casa dei miei nonni, Mario e Assuntina. Addirittura nelle cartine del 1700 troviamo già le prime testimonianze ufficiali della presenza di questa casa. Da piccolo passavo molto tempo qui e le stesse sensazioni vissute durante la mia infanzia le vivo anche oggi con le persone che accogliamo» mi racconta Miguel.

Ma che cosa significa Tularù? Mi faccio spiegare da lui: «Nelle mie orecchie risuona la voce di mia nonna, che durante le estati della mia infanzia richiamava così tutta la comunità impegnata nei lavori di campagna al pranzo servito all’aperto. Tularù è un richiamo verso un momento di condivisione. Metaforicamente è una parola che ci ricorda che dobbiamo ripensare all’odierna dinamica ecologica totalmente estrattiva. Il nostro progetto vuole rispondere proprio a questa problematica. Il modo in cui implementiamo i processi produttivi è legato ad una co-responsabilità delle persone. La natura ci permette di ampliarsi: partendo dalla terra, passando per un rifugio per riconnettersi al cibo e alle persone».

Un intreccio di vite e rigenerazione

Prima di aprire l’azienda agricolo rigenerativa nella provincia di Rieti, Miguel e Alessandra vivevano a Milano occupandosi di musica e teatro: «I nostri lavori precedenti li abbiamo portati a piene mani in questa nuova vita. In maniera non totalmente cosciente, la valenza sociale e culturale erano i motivi che mi avevano spinto ad intraprendere la mia esperienza nel teatro. La mia spinta alla costruzione di reti e alla progettualità deriva proprio dalla mia esperienza pregressa. Se nel teatro vi è una necessità intellettuale, nel cibo invece troviamo una necessità vitale: il modo in cui ti rapporti con la natura inizia con la tua nascita perché quando nasci entri a far parte di un ecosistema, individuale e collettivo. Entrambi questi ecosistemi sono profondamente intrecciati nell’agricoltura» mi spiega Miguel.

Miguel e Alessandra. Foto fornita dall’intervistato.

Ma come sono arrivati Miguel e Alessandra da Milano a Tularù? «La forte spinta che ci ha portati al cambiamento è stata la nascita di nostra figlia. Quando aveva tre anni ci siamo resi conto di essere entrati in quella routine lavorativa asfissiante. Sia io che mia moglie lavoravamo tanto: io ero spesso in tournée, mentre Alessandra doveva lavorare di notte per chiudere i concerti, e capitava spesso che dovessimo lasciare Marta con la baby sitter. Nel momento in cui c’è stata la possibilità di gestire questo spazio, è stato un segno dell’universo che ha cambiato totalmente le nostre vite. Oggi i miei figli vivono i rapporti con i produttori, la salubrità dei suoli e delle relazioni che si creano» mi dice emozionato.

Conferenza “Riabitare la montagna” – 16 settembre 11:30

Miguel Acebes, cofondatore di Tularù, azienda agricola organico rigenerativa, membro della Slow Grains, interviene alla conferenza “Riabitare la Montagna”.

La festa della mietitura

Ogni anno a Tularù si organizza la festa della mietitura: «Sono tre giorni in cui i maestri mietitori insegnano a raccogliere il grano a mano. La mattina inizia la raccolta, mentre la sera ci si diverte tra eventi, incontri, concerti, presentazione di libri e musica. Il fatto di condividere il lavoro con persone sconosciute ti mette in relazione con loro e vivi quel momento di condivisione attraverso i loro occhi: si instaura una connessione che dalla fatica iniziare della giornata, ti restituisce distensione e unione umana la sera. Il nostro obiettivo è quello di restituire al cibo il ruolo di collante strutturale e sociale nel mondo. La meccanizzazione e lo spopolamento dei paesini montani hanno annullato il valore sociale. Il lavoro agrario dev’essere riconsegnato nelle mani delle persone. E la Festa della Mietitura serve proprio a questo». Continua il cofondatore di Tularù: «Ogni volta che incroci uno sguardo ti unisci ad un’aspirazione comune: condividi un momento di raccolta e creazione di cibo, lo stesso cibo che mangerai a pranzo. Fai parte davvero di un ciclo di cui sei co-responsabile».

Grano, pane e pascolo razionale

Protagonista assoluto di Tularù è il grano, anzi: più grani. Antichi e autoctoni. C’è poi la carne, da vacche allevate secondo il pascolo razionale Voison, metodo che prevede un’alimentazione naturale con solo erba e fieno, senza mangimi aggiunti.

Chicchi di grano di Tularù. Foto fornita dall’intervistato.

La parte agricola di Tularù è stata progettata insieme a Matteo Manici, di Deafal, una ONG di Milano che si occupa di portare in Italia l’agricoltura organica rigenerativa. Aumentare la sostanza organica nel terreno rappresenta il primo motore economico di un’azienda agricola, per far sì che si ottenga una buona resa e risultato di prodotto. Mi spiega Miguel: «L’azienda è a 850 m sul livello del mare, circondata dal tipico paesaggio appenninico con terreno sassoso. A livello produttivo è molto difficile rendere economicamente sostenibili i prati e le colture di questo tipo. Nel nostro caso non avrebbe senso fare tutto il terreno seminativo. Il modo migliore per trasformarlo è grazie all’elaborazione del cibo dei ruminanti. Bisogna riproporre esattamente quello che accade in natura: gli erbivori vivono sempre in mandrie e si spostano velocemente da un pascolo all’altro per fuggire dai predatori. Questo movimento produce grande fertilità del suolo in quanto rimane fermo il tempo necessario per far ricrescere il prato».

Le specie vegetali più pregiate, infatti, devono avere un riposo tale che permetta loro di immagazzinare le riserve di carboidrati nelle radici per rendere possibile un ricaccio produttivo e sano, ma soprattutto per consentire alle stesse di sopravvivere. Rispettare sempre il punto ottimale di riposo delle piante prima di far entrare gli animali in una parcella è forse la regola principale. Suddiviso il pascolo in settori, le vacche concimano una zona, dopodiché passano gli avicoli: «In futuro ci piacerebbe aumentare la complessità e il potenziale di produzione del pascolo inserendo gli ovi caprini in questo percorso perché quando le capre mangiano portano un altro tipo di sostanza organica» mi confida Miguel.

Il sapore dei prati di Tularù

I benefici molteplici che ritrovano gli animali prima e il suolo e le persone poi, sono possibili grazie alla cellulosa, al grasso, agli omega 3 e omega 6 contenuti nell’erba: «Il pascolo razionale consiste nella rotazione, di anno in anno, da un seminativo all’altro. Noi seminiamo il grano insieme alla lupinella insieme al grano Rieti, alto 1 metro e 70. La lupinella, una volta cresciuta, rimane più bassa rispetto al grano. Quindi cosa succede? Quando raccogliamo e mietiamo il grano spunta la lupinella che riattiva tutte le piante da pascolo e le graminacee nobili di una biodiversità che, negli anni, si è arricchita notevolmente grazie a questa gestione del pascolo» mi spiega Miguel.

Festa della mietitura 2023. Foto di Chiara Sansoni.

Tutti sappiamo che quando si parla di pane, carne, latte e formaggi stiamo parlando di un’origine comune: «Il terreno dove seminiamo il grano si arricchisce col passaggio degli animali. I minerali organici del terreno, attraverso le piante, alimentano gli animali. Così il sapore del pane e della carne sono collegati e per noi tutto torna ad avere un senso. Il prodotto non è mirato a soddisfare un’esigenza personale, ma fa parte di un ecosistema. Un ecosistema biodiverso che ritrovi nei sapori del prodotto.

Non è questione di ritorni eroici, ma di consapevolezze

«In questi ultimi anni si è innescata una grande retorica legata all’agricoltura eroica e ai giovani coraggiosi che ritornano alla terra, ma non si tratta di questo. Non è una questione di “giovani eroi”, di contadini che si sacrificano o malinconia del passato. Semplicemente abbiamo sentito la necessità di costruire un equilibrio con un potere detonante nei confronti dei meccanismi attuali della società, che restituisce un rapporto alla pari tra individuo e mondo. A modo tuo contribuisci a soddisfare il tuo ruolo e quelli degli altri, ti senti appagato perché sei parte del miglioramento»

È con queste parole che Miguel conclude la nostra chiacchierata. Due ore cariche di significati potenti da cogliere. È così che vi auguriamo un buon Cheese.

di Cecilia Cacre, info.eventi@slowfood.it

Cheese è organizzato da Slow Food e Città di Bra. L’edizione 2023 si svolge dal 15 al 18 settembre. Noi cheesiamo, siatecheese anche voi! #Cheese2023

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