«Borgata Paraloup è sempre stato un pascolo, specie nel periodo estivo. Certo, la tradizione della Valle Stura guarda soprattutto all’allevamento di animali da carne, vedi la pecora sambucana. Ma le condizioni erano ideali per portare un gregge di capre e provare a realizzare grandi formaggi e così ci siamo lanciati in questa avventura».
Con queste parole Marco Revelli, anima del progetto di recupero di Borgata Paraloup, un villaggio alpino protagonista della storia della Liberazione, a 1360 metri d’altitudine non lontano da Cuneo, ci introduce all’incontro con Gian Vittorio Porasso, pastore e casaro che abbiamo conosciuto qualche anno fa nella sua Castelnuovo di Ceva e che a giugno sale in questa borgata nel comune di Rittana con le sue capre e i suoi cani, per l’alpeggio estivo.
Continua Marco: «La stella polare di Borgata Paraloup è dimostrare come la cultura possa essere motore di sviluppo di un territorio. Così il Museo dei Racconti che ospitiamo in una delle 7 baite recuperate diventa il cuore pulsante di tutto ciò che facciamo. In questo percorso di rigenerazione del borgo era importante individuare un’attività produttiva sostenibile. Abbiamo subito pensato alla pastorizia, che si adatta splendidamente a questi luoghi marginali di montagna. Idea che ha preso forma con l’incontro con il professor Andrea Cavallero e la disponibilità Gian Vittorio, con il suo gregge di capre».
La conferenza – Riabitare la montagna – 16 settembre alle 11:30
Come immaginiamo il futuro dei paesi interni e della montagna? Li immaginiamo come meta di un turismo stagionale, di investimenti fondiari e immobiliari? Oppure vogliamo recuperare la loro dimensione sociale, culturale e produttiva?
L’incontro tra scienza ufficiale e saperi tradizionali

Una sperimentazione che nasce dall’incontro tra scienza cosiddetta ufficiale e il mondo dei saperi tradizionali. Dice Gian Vittorio: «Qui ho trovato sia prati-pascoli stabili, che piante di invasione (rovo, rosa canina, biancospino, frassino, lampone, betulla, faggio) ideali per la dieta delle mie capre. Il professore mi ha insegnato che la presenza del frassino fu fortemente voluta dai Savoia: il burro prodotto con il latte degli animali che si alimentavano con le sue foglie presentava una temperatura di fusione più alta, ed era quindi molto più facile da trasportare a Torino e nei mercati delle città a valle».
Oggi il sogno è di ricreare quell’equilibrio tra animale, vegetazione, paesaggio, uomo: le capre possono pulire il bosco, riducendone anche l’invasività, ricreando preziosi fazzoletti di prato-pascolo stabile, mentre la presenza dei pastori consente la manutenzione dei sentieri e dei corsi d’acqua, indispensabili per regimentare le acque ed evitare i danni causati da precipitazioni sempre più intense e irregolari.
I formaggi da erba


L’assaggio dei formaggi conferma quanto esposto da Cavallero sulla qualità superiore del latte degli animali che hanno la possibilità di alimentarsi con la grande varietà di erbe, foglie e cortecce che trovano nei pascoli attorno alla borgata. Le rustiche capre di Roccaverano, munte due volte al giorno, offrono in media meno di un litro e mezzo di latte, che le abili mani di Gian Vittorio trasformano in robiole da consumare fresche (da cagliata lattica) e tume reimpastate (da cagliata presamica) più adatte alla stagionatura, oltre a un imperdibile Castelchabra, omaggio dichiarato al re dei formaggi, il Castelmagno. Anche il kefir e la ricotta, disponibili in piccolissime quantità, spiccano per la ricchezza di profumi e aromi.
Un centro culturale vivo
Borgata Paraloup non è un rifugio, ma un centro culturale vivo, una comunità che vuole creare un micro-sistema territoriale autonomo e sostenibile in un territorio montano e marginale, attraverso l’affermazione di un’identità culturale in grado di trainare lo sviluppo economico e sociale del territorio.
È proprio questo aspetto a meritare attenzione: qui non c’è solo un bravo pastore o un bel territorio. E non c’è nemmeno la pericolosa banalità di un ritorno alla montagna per soli fini turistici o per “fuggire dalla città”. Qui c’è un’idea moderna di vivere la montagna, con i piedi ben piantati nella terra (nella roccia) e uno sguardo che va oltre i limiti fisici e i confini.